martedì, agosto 19, 2008

Capitolo LXXXIX - Lent Et Douloureux

All'ospedale tutti corrono da qualche parte. Capisci subito chi è in lutto, non parla tanto, sguardo basso, è immobile. E' così che riconosciamo i genitori di Mario. Non mi piace presentarmi in circostanze del genere, partire subito con le condoglianze, ma non c'è stata diversa occasione. Francesco, Valeria e altri sono lì che ci indicano dov'è poggiato il corpo. Io e Isa entriamo in questa stanza, un minuto per permettere a lei di pregare. Io guardo tutto intorno, mi focalizzo sui particolari, su un taccuino e una penna a sfera che si trovano su una sedia, quasi a essere gli unici presenti. Lei continua a pregare, alla rinfusa ne perdo le parole, c'è qualche strumento metallico appoggiato su uno scaffale, uno specchio per il trucco dal quale si alza un respiro di cipria. Comincia a darmi ai nervi la litania che si diffonde per la stanza, non sono abituato a questo immobilismo e voglio scappare via. Appena finisce la strattono e la porto fuori, un ultimo sguardo all'interno, l'immagine si fissa, adios. Porgiamo un'alta volta le condoglianze e scompariamo. Usciti dall'ospedale lei si accorge che non sto benissimo, ma non mi chiede come sto. Immagino come Francesco avrà sistemato la situazione con le due ragazze di Mario, tutta la fatica che avrà fatto. Io non appartengo a queste cose, voglio lasciarmele alle spalle il più presto possibile, far scorrere il tempo rapidamente. Ora invece va tutto al rallentatore, come se qualcuno stesse suonando un piano troppo lentamente. Non è snervante, mi sento semplicemente smarrito. 


Tra poco riprenderanno le lezioni? Penso di sì. Isa mi lascerà? Sì, prima o poi. Ho sempre voluto realizzare molte cose, cosa mi resta? Poco, qualche affetto, qualche castello dei Lego, qualche pezzo di carta. Storie da raccontare? Sempre meno. 


Devo ricominciare. Ricrearmi, cambiare, tabula rasa. Un nuovo inizio.


Ma tu vuoi davvero ricominciare? Rifare gli stessi errori? Ripartire da zero significa correggere qualche sbavatura, ma ripetere la stessa strada. Forse non sarebbe meglio continuare e archiviare tutti i sogni di gloria? Forse non sei tagliato per questo genere di cose, forse hai paura. Hai sempre avuto ciò che davvero serve, hai sempre avuto il tempo.


E' passato tutto così in fretta, nemmeno me ne accorgevo; in estate dovevo sempre fare qualcosa, registrare un demo, uscire con una ragazza, tornare a Torino, ma non ci sono mai riuscito. Semplicemente mi perdevo. 


Perchè?


Non saprei, magari ho paura di provarci sul serio; se non provi non puoi fallire.


E adesso cosa farai?


Camminerò in obliquo.

venerdì, agosto 08, 2008

Capitolo LXXXVIII - Hic Et Nunc

La mattina dopo lei si è svegliata per un orario imprecisato, io in teoria stavo dormendo, ma l'ho sentita lamentarsi e, anche se probabilmente non mi avrebbe voluto svegliare, beh, non ce l'ha fatta.

Mi sono voltato dalla sua parte e l'ho vista con la faccia affondata nel cuscino, che miagolava qualcosa come "mai più, mai più". Tutto secondo copione.

Suona il cellulare e rispondo, mi rendo conto un attimo prima che è sorprendentemente presto, sono le 9.


- Marcello sono Francesco, ieri sera Mario si è schiantato mentre tornava a casa. Ha forato ed è uscito di strada. E' stato ricoverato e stamattina si è spento.

- Oh Cristo.

- Non aveva nemmeno bevuto, cazzo!


Isa si accorge che c'è qualcosa che non va, e mi guarda spaventata.


- Ti ringrazio Francesco, ora lo dico a Isa.

- Ci vediamo all'ospedale?

- Sì veniamo appena possibile.


Lei mi guarda, mi dispiace doverle rovinare ancora una volta la vita.


- Isa, ieri sera Mario ha avuto un incidente e stamattina è morto in ospedale.


Lei non dice niente, scoppia a piangere e scappa via dal letto, rifugiandosi in bagno.


Io non ho mai pianto per questo genere di cose, resto sempre un po' intontito, e cerco di scavare nella memoria per ricordare quali siano state le sue ultime parole, qual è l'ultima cosa che abbiamo fatto insieme. La morte in sè non è mai stata una cosa che mi ha fatto paura, è quello che c'è dopo, o meglio, non c'è, che mi ha sempre terrorizzato. In questi momenti pensi sempre a cosa avrebbe voluto fare chi è scomparso, quali erano le sue aspirazioni, i suoi sogni, i suoi progetti. Non ne resta molto ormai. Ti rendi conto di quante poche cose sai di lui, non sembrano mai abbastanza, sembra che tutte le cose che avete condiviso si riducano all'osso, a un caffè, a quattro chiacchiere, a qualche studiata insieme. Poi il focus si sposta, ti cominci a soffermare su tutto quello che tu devi ancora fare, ai tuoi progetti incompiuti, al tuo futuro, a quanto tutto questo abbia quasi un orologio al polso. Penso che l'unica cosa che possa consolarti dal pensiero di morire, sia il fatto di aver vissuto una vita piena, di aver dato tutto quello che potevi, di aver ottenuto i successi che ti eri prefissato, di esserti innamorato, di aver litigato, di esserti lasciato, di esserti reinnamorato, di aver visto tanti luoghi, di aver conosciuto tanta gente. Penso a quante cose Mario non vivrà mai, come avere dei figli, crescerli, andare ai battesimi, ai matrimoni, ai funerali. Un attimo, e si perde tutto quello che si ha, e soprattutto quello che ancora si deve conquistare. La cosa peggiore che può capitare è essere privati del futuro. 

Sento di là Isa che piange disperata, e io invece qui a riflettere più su di me, che sul povero Mario.

Lei ritorna e con gli occhi ancora rossi mi chiede cosa si dovrebbe mettere, che non ha niente qui. La riporterò a casa per vestirsi. Non le basta, mi urla contro sempre le stesse parole. Ognuno reagisce a suo modo. La prendo e l'abbraccio. Ormai l'unica cosa da fare è darsi conforto a vicenda. Rien Ne Va Plus.