martedì, novembre 11, 2008
Prologo
giovedì, settembre 11, 2008
Capitolo XC - La Fine Non E' La Fine
- Cosa vuoi fare? Perché dovremmo entrare? Le lezioni iniziano tra una settimana.
- Ti propongo una scommessa. Dobbiamo entrare nel “velodromo” e, facendo le scale, arrivare in cima, poi uscire verso la sommità della scala antincendio. Ok?
- Ma perché?
- L’ultimo che arriva prepara la cena.
Non le lascio tempo di fare altre domande, mi avvio verso l’entrata, aspetto che la porta automatica si apra e inizio a correre a perdifiato.
Lei mi segue.
Mentre corro penso a tutte le cose che ho fatto quest’anno, a tutte quelle che mi ero riproposto di fare e non ho fatto, a tutti i dischi che ho ascoltato. Tutto ciclico, tra pochi giorni si ricomincia. Il capodanno è spostato ad oggi. Ormai sembrano tante le cose che ho condiviso con Isa, film, amici, uscite. Eppure non mi sento ancora parte di questo, come se qualcosa dovesse succedere, come se fossimo en train de. Lei così lontana da me probabilmente non si sente, non se ne accorge. L’ho portata qui per farla ricominciare, perché forse io volevo ricominciare. La nostra storia sono certo non supererà l’anno, perché ho sempre rovinato tutte le cose belle che mi sono capitate, perché non mi basta mai niente, perché in fondo, sono il primo a sapere che non è la ragazza giusta. Finirò per accontentarmi di qualcun’altra meno bella, meno intelligente, arrivata nel momento in cui avrò paura di rimanere solo. Per ora corro tra un piano e l’altro pensando a quanta sicurezza ho acquistato e perduto e come ho mitigato il mio modo di rapportarmi con gli altri, di come abbia imparato ad apprezzare anche chi con me non ha molto in comune. Sono approdato qui esageratamente alternativo, ne sono uscito normale. Normale, uno dei tanti, non mi sforzo più di comunicare agli altri le mie peculiarità, ho capito che non interessa a nessuno, non è essere unico che ti rende migliore. Vorrei essere parte di qualcosa, essere ricordato, non morire mai.
Arrivo, ultimi gradini, esco. La scala antincendio mi regala una vista nuova, ormai è quasi il tramonto e il maestoso edificio a fianco, da cubo di cemento si trasforma in una cattedrale silenziosa. Guardo tutto intorno e taccio.
Lei arriva, esce dalla scala di fianco alla mia.
Mi guarda e urla qualcosa, ma io non riesco a capire cosa dice.
martedì, agosto 19, 2008
Capitolo LXXXIX - Lent Et Douloureux
All'ospedale tutti corrono da qualche parte. Capisci subito chi è in lutto, non parla tanto, sguardo basso, è immobile. E' così che riconosciamo i genitori di Mario. Non mi piace presentarmi in circostanze del genere, partire subito con le condoglianze, ma non c'è stata diversa occasione. Francesco, Valeria e altri sono lì che ci indicano dov'è poggiato il corpo. Io e Isa entriamo in questa stanza, un minuto per permettere a lei di pregare. Io guardo tutto intorno, mi focalizzo sui particolari, su un taccuino e una penna a sfera che si trovano su una sedia, quasi a essere gli unici presenti. Lei continua a pregare, alla rinfusa ne perdo le parole, c'è qualche strumento metallico appoggiato su uno scaffale, uno specchio per il trucco dal quale si alza un respiro di cipria. Comincia a darmi ai nervi la litania che si diffonde per la stanza, non sono abituato a questo immobilismo e voglio scappare via. Appena finisce la strattono e la porto fuori, un ultimo sguardo all'interno, l'immagine si fissa, adios. Porgiamo un'alta volta le condoglianze e scompariamo. Usciti dall'ospedale lei si accorge che non sto benissimo, ma non mi chiede come sto. Immagino come Francesco avrà sistemato la situazione con le due ragazze di Mario, tutta la fatica che avrà fatto. Io non appartengo a queste cose, voglio lasciarmele alle spalle il più presto possibile, far scorrere il tempo rapidamente. Ora invece va tutto al rallentatore, come se qualcuno stesse suonando un piano troppo lentamente. Non è snervante, mi sento semplicemente smarrito.
Tra poco riprenderanno le lezioni? Penso di sì. Isa mi lascerà? Sì, prima o poi. Ho sempre voluto realizzare molte cose, cosa mi resta? Poco, qualche affetto, qualche castello dei Lego, qualche pezzo di carta. Storie da raccontare? Sempre meno.
Devo ricominciare. Ricrearmi, cambiare, tabula rasa. Un nuovo inizio.
Ma tu vuoi davvero ricominciare? Rifare gli stessi errori? Ripartire da zero significa correggere qualche sbavatura, ma ripetere la stessa strada. Forse non sarebbe meglio continuare e archiviare tutti i sogni di gloria? Forse non sei tagliato per questo genere di cose, forse hai paura. Hai sempre avuto ciò che davvero serve, hai sempre avuto il tempo.
E' passato tutto così in fretta, nemmeno me ne accorgevo; in estate dovevo sempre fare qualcosa, registrare un demo, uscire con una ragazza, tornare a Torino, ma non ci sono mai riuscito. Semplicemente mi perdevo.
Perchè?
Non saprei, magari ho paura di provarci sul serio; se non provi non puoi fallire.
E adesso cosa farai?
Camminerò in obliquo.
venerdì, agosto 08, 2008
Capitolo LXXXVIII - Hic Et Nunc
La mattina dopo lei si è svegliata per un orario imprecisato, io in teoria stavo dormendo, ma l'ho sentita lamentarsi e, anche se probabilmente non mi avrebbe voluto svegliare, beh, non ce l'ha fatta.
Mi sono voltato dalla sua parte e l'ho vista con la faccia affondata nel cuscino, che miagolava qualcosa come "mai più, mai più". Tutto secondo copione.
Suona il cellulare e rispondo, mi rendo conto un attimo prima che è sorprendentemente presto, sono le 9.
- Marcello sono Francesco, ieri sera Mario si è schiantato mentre tornava a casa. Ha forato ed è uscito di strada. E' stato ricoverato e stamattina si è spento.
- Oh Cristo.
- Non aveva nemmeno bevuto, cazzo!
Isa si accorge che c'è qualcosa che non va, e mi guarda spaventata.
- Ti ringrazio Francesco, ora lo dico a Isa.
- Ci vediamo all'ospedale?
- Sì veniamo appena possibile.
Lei mi guarda, mi dispiace doverle rovinare ancora una volta la vita.
- Isa, ieri sera Mario ha avuto un incidente e stamattina è morto in ospedale.
Lei non dice niente, scoppia a piangere e scappa via dal letto, rifugiandosi in bagno.
Io non ho mai pianto per questo genere di cose, resto sempre un po' intontito, e cerco di scavare nella memoria per ricordare quali siano state le sue ultime parole, qual è l'ultima cosa che abbiamo fatto insieme. La morte in sè non è mai stata una cosa che mi ha fatto paura, è quello che c'è dopo, o meglio, non c'è, che mi ha sempre terrorizzato. In questi momenti pensi sempre a cosa avrebbe voluto fare chi è scomparso, quali erano le sue aspirazioni, i suoi sogni, i suoi progetti. Non ne resta molto ormai. Ti rendi conto di quante poche cose sai di lui, non sembrano mai abbastanza, sembra che tutte le cose che avete condiviso si riducano all'osso, a un caffè, a quattro chiacchiere, a qualche studiata insieme. Poi il focus si sposta, ti cominci a soffermare su tutto quello che tu devi ancora fare, ai tuoi progetti incompiuti, al tuo futuro, a quanto tutto questo abbia quasi un orologio al polso. Penso che l'unica cosa che possa consolarti dal pensiero di morire, sia il fatto di aver vissuto una vita piena, di aver dato tutto quello che potevi, di aver ottenuto i successi che ti eri prefissato, di esserti innamorato, di aver litigato, di esserti lasciato, di esserti reinnamorato, di aver visto tanti luoghi, di aver conosciuto tanta gente. Penso a quante cose Mario non vivrà mai, come avere dei figli, crescerli, andare ai battesimi, ai matrimoni, ai funerali. Un attimo, e si perde tutto quello che si ha, e soprattutto quello che ancora si deve conquistare. La cosa peggiore che può capitare è essere privati del futuro.
Sento di là Isa che piange disperata, e io invece qui a riflettere più su di me, che sul povero Mario.
Lei ritorna e con gli occhi ancora rossi mi chiede cosa si dovrebbe mettere, che non ha niente qui. La riporterò a casa per vestirsi. Non le basta, mi urla contro sempre le stesse parole. Ognuno reagisce a suo modo. La prendo e l'abbraccio. Ormai l'unica cosa da fare è darsi conforto a vicenda. Rien Ne Va Plus.
sabato, giugno 21, 2008
Capitolo LXXXVII - The Long & Winding Road
- Secondo te devo scrivere ai miei che dormo da te?
- Beh, se non vuoi che chiamino la polizia mi sembra sensato...
- Ma li sveglio! Sai che ora è?
- Sono le 2.20.
- Era retorica!
- Beh senti manda un sms, e spera. In ogni caso glielo devi far sapere.
Per convincere una così, c'è poco da fare, non la puoi far ragionare, devi prendere l'iniziativa e imporre la cosa. E' un atteggiamento che non mi piace, però alle volte non si può fare altrimenti. Soprattutto se una ha bevuto 3 o 4 cocktail.
Lei comunque alla fine si mette zitta zitta e scrive l'sms, con molta attenzione alla grammatica e l'ortografia. Spero sia abbastanza lucida da inventarsi una buona scusa, insomma, qualcosa che esuli dal "ho bevuto e non sono in grado di portare la macchina a casa senza schiantarmi contro un albero". Manda l'sms e si mette a dormire.
- No no! Non hai capito niente! Stai sveglia!
- Perchè?
- Come perchè? Mi devi dare le indicazioni!
- Ah già! Dove siamo?
- Che ne so io? Sei tu che sai la strada!
- Aspetta, ah sì, ok, vai dritto per un po', poi svolta a destra al mio segnale.
- Che genere di segnale?
- Tipo ti dirò "svolta qui a destra"...
- Dimmelo con un buon anticipo!
Ogni tanto la controllo con la coda dell'occhio, lei se ne accorge e sorride. In realtà siamo persi totalmente. Nel nulla. Abbiamo raggiunto una complicità che mi appaga. Magari non torneremo mai a casa, ma va bene così. Stasera va bene così.
- Che hai scritto ai tuoi?
- Gira qui a destra!
Svolta a destra effettuata come se guidassi una Lancia Delta.
- Cristo, meno male che me lo dovevi dire con un po' d'anticipo!
- Comunque ai miei ho detto che ho bevuto e non sono in grado di portare la macchina a casa senza schiantarmi contro un albero.
- Ma che cazzo! Una scusa no? Perchè devono sempre pensare che sia colpa mia?
- Colpa tua di cosa?
- Che non ti fermo mai, che non so badare a te.
- Ma se non mi fai guidare stasera! E lo fai perchè ti preoccupi per me, per la mia incoloumità! Mi fai stare a dormire da te... Credi che l'abbia mai fatto qualcuno?
- Ah no?
mercoledì, aprile 23, 2008
Capitolo LXXXVI - Yo!
Isa mi è venuta a prendere con la sua macchina, c'era un'enorme busta di carta sul sedile.
- Non farci caso, c'era dentro la colazione di un paio di giorni fa.
- Ah.
Arriviamo alla festa e sono tutti lì che ci aspettano. Non parlerò tanto di quello che succede nel nostro gruppetto, perchè in pratica ci siamo un po' divisi, andremo tutti per specialistiche diverse e i nostri rapporti si sono un po' raffreddati, ergo non c'è molto da raccontare.
Però la festa...
In pratica si svolge in una sorta di villa fuori porta, però al chiuso, non all'aperto, perchè c'è freddo. E' tutto pieno di musica hip hop. Un impianto enorme sputa fuori solo roba da ghetto mentre Isa parla con quello che penso sia il festeggiato. Comincio a guardarmi in giro e a squadrare la gente. Il solito discorso della pagliuzza e della trave.
La prima cosa che mi stupisce sono le dimensioni esagerate dei vestiti. Non pensavo esistessero maglie così larghe. Qui non siamo di fronte a delle XXL, siamo di fronte a delle vele cucite tra loro. La gente normale, qui, porta delle polo che arrivano alle ginocchia, se non oltre, magliette di giocatori di football americano a me sconosciuti, canotte dell'NBA, le più nuove di LeBron James, le più vecchie di Michael Jordan; non uno che abbia quella di Bargnani, forse qualcuno sa perchè.
Vedo un tipo con un asciugamano al collo, però non fa così caldo.
Le ragazze si agitano come in quei video gangsta-rap, però sono bianche e non fanno abbastanza scena. Devo ammettere che alcuni ragazzi a ballare sono bravissimi, si muovono quasi fossero fatti di pongo, altri invece mi mettono addosso la depressione.
- Non ti stai divertendo?
- Boh, Isa, non lo so...
- Cosa c'è che non ti piace?
- Beh per cominciare non ho sentito un pezzo di Kanye West, poi siamo vestiti troppo stretti per questo posto, senza contare che mi pare non abbiamo fatto il regalo al festeggiato.
- Non era previsto il regalo!
- Come no! Che festa sarebbe?
- Uno che può affittare una villa e farci dentro una festa hip hop con tanto di dj personale e ballerine forse non ha bisogno del nostro misero regalo.
- Ma conta il pensiero!
- Come no...
Mi prende in disparte e mi porta al bar a bere qualcosa, ormai mi conosce e sa come annego i dispiaceri.
- Che vuoi?
- Un Midori Sour.
- Eh?
Faccio la mia solita faccia e vado dal barista direttamente.
- Mi fai un Midori Sour?
- Eh?
- Gin Lemon grazie.
Torno con il mio drink e lei mi guarda come a dire "e a me non hai preso niente?".
Perdo anche il mio Gin Lemon.
Mi guarda con un sorriso.
- So che stasera ti è costato tanto venire qui.
- A dire il vero te l'ho chiesto io.
- Sì, ma per stare con me.
venerdì, aprile 11, 2008
Capitolo LXXXV - La Quiete Prima Della Tempesta
Siamo rientrati in biblioteca poi ne siamo usciti, 2 ore nel mezzo. Sono risalito sul motorino, questa volta mi ha fatto guidare, e lei si reggeva dietro. L'aerodinamica ne ha guadagnato. Siamo arrivati con un ritardo sulla tabella di marcia di circa 30 minuti, lei sostiene che guido piano, io preferisco dire che guido in sicurezza. Parcheggiato il mezzo si toglie il casco.
- Vuoi salire?
- Ma è casa mia Isa!
- Vediamo un film da te allora?
- Boh, ok.
Prima siamo stati a guardare la tv sul divano, con lei che mi ha raccontato tutta la storia di sto tizio della festa alla quale dobbiamo andare. E' un davvero odioso, però come al solito ho filtrato le cattiverie che la ragazza mi ha raccontato a proposito. Credendo alla metà di quello che mi ha detto questo tipo risulta essere una specie di impasticcomane molto abbiente con manie ossessive per i vestiti ed il trattare male le ragazze. Ovviamente ne è pieno, anche se Isa dice di n o, ma si sa che Ferradini non tradisce.
- Senti domani ho da fare, ci sentiamo per metterci d'accordo per la festa, va bene?- Credo di sì.
E' stato un grave errore quello di chiederle di questa festa, a me fanno schifo questo genere di feste, cercherò di coinvolgere gli altri.
- Posso chiamare gli altri?
- Sì, penso di sì, non sono mica tua madre, non mi devi chiedere il permesso.
- A dire il vero a mia madre non l'ho mai chiesto, ero un tipo indipendente...
- E' per questo che non hai una lavatrice e il bucato te lo deve fare lei?
- Tecnicamente sì.
Touchè.
- Che film vuoi guardare, Isa?
- Io & Annie.
- Ancora?
lunedì, marzo 24, 2008
Capitolo LXXXIV - Maledetto Atrio Della Biblioteca
- Ok andiamo fuori a fumare una sigaretta, va bene?
Sorride e si pavoneggia, ha vinto. Usciamo dalla biblioteca e ci posizioniamo sull'atrio, è qui che ci siamo baciati la prima volta.
- Allora hai già pensato a come ti vestirai per la festa?
- Pensavo di andare in giro tutto ricoperto di post-it e con in mano una penna, se funziona mi ritroverò con migliaia di numeri di telefono.
- Non mi sembra un piano ingegnoso.
- Perchè?
- E' una di quelle cose che fanno solo ridere, ma non funzionano con le ragazze...
- Dici?
- Sì, senza contare che ti potrei dare uno schiaffo per ogni numero che raccimoli.
- Ma se non funziona non dovrei preoccuparmi.
- Accenditi la sigaretta e smettila!
- Avanti dillo! Dillo!
- Touchè! Va bene?
Parte la danza della vittoria.
Scuote la testa.
- Non pensavo di stare con un bambino di 13 anni.
- A 13 anni sei già adolescente...
- Siamo regrediti a 8.
- No, un attimo, stiamo insieme di nuovo?
- Sì.
domenica, marzo 09, 2008
Capitolo LXXXIII - We Ain't Going To The Town We're Going To The City
Ci siamo guardati per qualche minuto, sorseggiato il caffè, riso insieme.
Mi faccio la doccia mentre lei guarda la tv, dobbiamo andare in università e lo faremo insieme.
Isa ha una Vespa, di quelle da donna, con le ammaccature. Mi passa il casco mentre si infila il suo, mi dice di stringermi forte.
Per le vie di Milano sfreccia come se ne conoscesse ogni grammo d'asfalto, è sicura e non cerca di imbastire nessuna conversazione. La stringo in un abbraccio alla volte nemmeno necessario e lei cerca di stare con la schiena lievemente flessa all'indietro, non vuole però che io lo noti e non esagera mai. Non dobbiamo nemmeno parlare e la cosa mi rincuora, non sembra pesi a nessuno dei due.
Appena arrivati non facciamo in tempo a scendere dalla Vespa che Valeria ci si fa incontro con Mario e Francesco. Nessuno sa bene cosa dire, Isa capisce, è sveglia, prende e porta Valeria verso il bar. Mario e Francesco mi guardano e cercano conferme.
- Beh?
- Non lo so, non cominciamo...
- Stella chiede sempre di vuoi due.
Quando mi dissero che Francesco e Stella si erano ritrovati una sera a bere qualcosa fuori mi era sembrata la classica uscita di cortesia. In realtà a distanza di un mese da quell'uscita i due hanno cominciato a frequentarsi così assiduamente che, anche se manca l'ufficialità, sono diventati una coppia. In realtà so benissimo che Stella non chiede di “noi due” ma semplicemente di Isa. Io per non vedere lei mi sono tirato fuori un po' da questo giro di amicizie, le ragazze hanno giustamente preferito lei a me, i ragazzi semplicemente non hanno mai scelto. Ora risulta complicato recuperare il tempo perduto, non tanto per il gap, che è stato comunque contenuto, ma piuttosto perché c'è un pizzico di imbarazzo. Alla domanda di Francesco ho comunque risposto con una di quelle frasi di circostanza che lasciano parecchio spazio all'interpretazione, dato che non mi volevo sbilanciare.
Il problema è che il caffè che abbiamo bevuto stamattina mi ha colpito al cuore. E quel che è peggio, temo Isa l'abbia capito. Mi sono reso conto in un attimo, in una frase sola, che noi due ci apparteniamo.
Non glielo dirò mai probabilmente, ma credo che lei già lo sappia.
sabato, marzo 01, 2008
Capitolo LXXXII - Breakfast Club
- Allora che facciamo oggi?
- Devo scrivere il lavoro finale.
- Non andiamo al parco?
- Direi di no, anche perchè poi al parco c'è quella gente che suona i bonghi e si fa i cannoni, non è un ambiente prolifico per lo studio.
Si è subito pentita di avermi chiesto di andare al parco, ha il suo solito sguardo triste, lo volge altrove.
- Isa ma una di quelle tue feste non ce ne sono più? E' da un po' che non ci andiamo...
Sì è voltata ed ora è piuttosto stranita. Ha la faccia che hanno i giovani attori che vincono a sorpresa gli oscar.
- Sì beh c'è una festa a casa di qualcuno, tipo tra un paio di giorni.
- C'andiamo?
- Il tizio mi sta sul cazzo però vabbè, se vuoi andare...
- Voglio provare.
- Cosa?
- A vedere che effetto mi fa.
Sembra dubbiosa sul mio gioco. In realtà mi sono messo in un vicolo cieco. Non volevo andare al parco, però non riesco a vederla triste, ed ultimamente lo è quasi sempre.
Addento il cornetto e chiedo quale dei due caffè, che ha portato in quei bicchieri di carta con sopra il coperchio, è mio.
- Quello con sopra scritto caffè macchiato per Marcello.
- Ah sì. Quanto zucchero c'hai messo?
- Una bustina.
- Come facevi a sapere che volevo una bustina?
Si ferma a pensare, cerca di ricordarselo, ma sono certo di non averglielo mai detto.
- Non lo so, lo sapevo e basta.